n.54 – Bisogno di comunità
- dall’articolo di Mauro Magatti dal titolo:” La necessità di riconoscere il legame tra l’io e l’altro”. Il corriere della sera -21 marzo 2020
"Che qualcosa di arcaico come un’epidemia sia riuscito a bloccare e a mettere in seria difficoltà una società avanzata come quella del Nord Italia ha qualcosa di sbalorditivo. Ci troviamo davanti a uno scenario inedito, che ci deve spingere a capire più in profondità il mondo in cui viviamo.
Con -tangere. E’ questa la radice etimologica di <<contagio>>,la stessa di con-tatto. Dunque si tratta di un fenomeno che ha a che fare con quello che Heidegger chiama << essere con>>. Con l’inevitabile <<toccarsi>> del vivere sociale. Ma anche con l’esposizione alla natura,cioè a ciò che è sotto il nostro controllo. Ci siamo abituati all’idea di un mondo ad alta connessione.
Siamo in comunicazione istantanea con ogni dove,mentre la nostra conoscenza dell’epidemia si aggiorna ogni minuto. Con-nessione,co-municazione,co-noscenza,tutte parole che,come con-tagio e con- tatto,si formano con il prefisso – co.
Contrariamente a quanto siamo portati a pensare,la terra, non è abitata da miliardi di <<Io>> che vivono gli uni indipendentemente dagli altri e dall’ecosistema che li ospita. Che ce rendiamo conto o no,ognuno di noi vive <<con>> altri e altro da sé. Si può e si deve dire che la vita sociale è sempre con. Anche se a cambiare sono i modi in cui questo con viene organizzato. Persino la con-correnza ( che etimologicamente significa <<correre insieme>>) dovrebbe essere correttamente intesa in questo senso. Per non dire nulla della col-laborazione, della coo –operazione, della co-munità. In effetti,vivere in una società avanzata significa godere dei vantaggi di un mondo in cui si sono aumentate la libertà e l’autodeterminazione di ogni <<Io>> grazie al rafforzamento,ampliamento, e accelerazione dei canali, delle infrastrutture e delle condizioni del con. Ma,come stiamo dolorosamente imparando in questi giorni, ciò ci espone anche a problemi nuovi. Per natura e portata.
E’ proprio perché le nostre società sono avanzate che il coronavirus si è potuto trasferire nel giro di poche settimane da una sperduta località della Cina in tutto il mondo. Ed è a causa della condivisione di una conoscenza e di una comunicazione impensabili fino a pochi anni fa che ci ritroviamo a seguire giorno dopo giorno,ora dopo ora, l’evoluzione dell’infezione. Così,ciò che in passato veniva vissuto in modo fatalistico, oggi viene combattuto con la scienza e l’organizzazione. Nella consapevolezza condivisa- non facile da reggere sul piano collettivo- che si tratti di una battaglia durissima. La verità è che oggi siamo tutti più impigliati gli uni negli altri. Il potenziamento dell’io comporta un infittimento del con.
Di fronte al diffondersi del contagio l’Italia è stata chiusa. Una cosa impensabile fino a pochi giorni fa. Così il fantasma immunitario – di chiusura,difesa,respingimento - che da anni circola anche da noi ,diventa improvvisamente realtà. Costringendoci a un momento di verità.
Da una parte viene riconosciuta la superficialità con cui si sono valutate le implicazioni dell’aumentata connessione. Il riscaldamento globale, il terrorismo, le grandi migrazioni, le tensioni sui dazi, l’instabilità economica, le epidemie planetarie. L’elenco dei problemi che derivano dalla ristrutturazione del con avvenuto a fine 900 è lunghissimo. Ma chi ne ha saputo prevedere la portata? Dall’altra parte, è subito evidente l’effetto claustrofobico che la chiusura porta con sé. La separazione ci appare insostenibile: non è possibile né desiderabile disincagliarsi dal destino comune che l’interconnessione globale ha creato.
Una delle possibili radici etimologiche del termine latino <<sicurezza>> è <<sine cura>>. Di fronte alle tante e sorprendenti insicurezze del nostro tempo, l’io immunitario vorrebbe sottrarsi alla responsabilità della connessione chiedendo a qualche sistema di farsi carico a nome suo, degli oneri che le nuove forme del con comportano. Le tecniche,le organizzazioni, le istituzioni di cui disponiamo (esse stesse forme di con ) sono e restano fondamentali. Ma occorre stare attenti a evitare che la domanda di sicurezza non sia un alibi per sgravarsi dalle proprie personali responsabilità. Ancora Heidegger ci aiuta a fare questo passo: in tutte le forme che può prendere, il nostro << essere con>> comporta la cura. Cura verso di sé, l’altro,il mondo intero.
L’esperienza così drammatica del contagio di queste settimane ci dice che abbiamo ancora molta strada da fare se vogliamo reggere la co-abitazione nel mondo iperconnesso. Ma soprattutto ci insegna che ogni forma di con esige di riconoscere il legame originario tra l’Io e l’altro. Da ciò deriva quella responsabilità della cura senza la quale il con decade velocemente in un con-flitto.
Non sta forse qui la possibilità (teorica) di fermare il contagio? Diventassimo tutti consapevoli dei nostri comportamenti e più attenti ai gesti quotidiani- rispettando rigidamente le indicazioni date dalle autorità -potremmo arrestare oggi stesso la diffusione dell’infezione. Le cose sono ovviamente più complicate. Ma rimane che il covid-19 ci chiede –anzi esige- questo esercizio.
Che dovremo poi applicare a tanti altri ambiti della nostra vita: la comunicazione (il modo con cui prendiamo la parola nei vari circuiti social e mediali), la concorrenza (il nostro rapporto col mercato),la contaminazione (tutto il tema ambientale),la comunità (il nostro modo di essere parte dei mondi social nei quali viviamo). L’Italia è chiusa. Ma solo per riaprirsi. In modo più consapevole.
Dora- L’esperienza drammatica del veloce contagio da coronavirus e il sofferto isolamento con il quale lo stiamo combattendo ci va mostrando la lunga strada che dobbiamo fare se vogliamo trasformare un mondo interconnesso in un mondo di relazioni.
Proviamo a riflettere e a interrogarci con calma con questi interrogativi:
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Qual è la nostra personale visione a proposito?
-
Come viviamo la crescente convinzione che nessuno può salvarsi da solo? Né come individuo,né come famiglia,né come nazione?
Attendo meditati contributi a questa nostra conversazione a distanza sul tema fondamentale della comunità - Vogliate prepararvi
discutendone in famiglia,o con qualche amico e conoscente.
Se il tema della nostra attuale conversazione è "il bisogno di comunità " e,- come dice il sociologo Mauro Magatti dell’Università
Cattolica di Milano – la prima esigenza è " riconoscere il legame io/l’altro" per poter "trasformare davvero un mondo interconnesso
in un mondo di relazioni" e svelare ,anche a noi stessi,il nostro bisogno di comunità, occorre innanzitutto una chiara spiegazione
dei termini. Cosa intendiamo infatti per comunità? Perché diciamo comunità di persone ? Che differenza c’è tra individuo e
persona? Scelgo di far rispondere in buona parte agli esperti del sito Persona e comunità https://gmzavattaro.blogspot.com
Comunità
1- Insieme di persone unite tra loro da rapporti sociali,linguistici e morali,vincoli organizzativi,interessi e consuetudini comuni: la c.nazionale,cittadina;agire nell'interesse della c.; c.umana,la società degli uomini,il consorzio umano;c.di affetti,la famiglia.
2-Il complesso degli organi sovranazionali istituiti tra i paesi europei per il conseguimento di vantaggi economici e politici,nonchè per la realizzazione di un mercato unico di merci,servizi,capitali e lavoratori.
3-Associazione di persone costituita nell'ambito di una stessa confessione religiosa.
4-omunità terapeutica,associazione di volontari che mira al recupero di tossicodipendenti ed emarginati attraverso la terapia di gruppo e il lavoro.ecc.
Individuo e Persona
L’individuo è uno tra tanti:è una stella tra tante stelle,una spiga tra tante spighe,un animale tra tanti animali,un uomo tra tanti uomini,un identico valore … La persona è unica,irripetibile,originale,senza prezzo.
Individuo è qualsiasi cosa non divisa in se stessa e divisa da ogni altro essere:questa pietra,questo fiore,questa quercia. Persona è solo quell’essere dotato di coscienza e di ragione che chiamiamo uomo.
L’individuo è un’isola,un atomo,una monade senza porte né finestre. La persona è un ponte,una relazione,un rapporto,un legame,un "essere con".
L’individuo può essere adoperato come mezzo,come strumento per raggiungere un fine. La persona non è mai soltanto un mezzo,è un fine in se stessa.
L’individuo può decidere di non amare. La persona si definisce tale perché ama.
L’individuo è solo contro tutti. La persona è sola,ma con tutti.
L’individuo è chiusura,monologo,ripiegamento su di sé. La persona è apertura,dialogo,uscita da sé.
L’individuo riduce il tu all’io,come se fosse un altro io. La persona è l’io che nasce dal confronto con il tu,con il volto dell’altro.
L’individuo è libero. La persona è responsabile.
L’individuo è dato,fissato,definito qui ed ora. La persona è tensione,progetto,auto superamento.
Individui si è … Persone si diventa
Dora- Sono stata forse poco chiara questa volta nella formulazione delle domande preparatorie ( anche se il titolo della conversazione così come il titolo dell’articolo scelto per mettere a fuoco il problema segnalavano il tema con precisione), o forse la lettura e la riflessione dei visitatori e dei protagonisti del nostro blog è stata troppo rapida .
Di conseguenza i contributi giuntimi per iscritto, andando piuttosto a ruota libera ,mi hanno spinta ad attivare uno schema di confronto un po’ diverso dal solito. Alternerò infatti la voce dei liberi protagonisti alla voce di giornalisti ed esperti da me scelti per costruire un percorso di comprensione, sia del “bisogno –anche nostro- di comunità” sia della necessità di cambiamento del nostro stile di vita,in coerenza con quel progetto di relazioni interpersonali educative e reciproche definito “Comunità educante”. Infine,per non allungare troppo la lettura dell’intera puntata , taglierò qualche riga ad ogni intervento.
“Venuta la sera” (Mc 4,35). “Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze,strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante,che paralizza ogni cosa al suo passaggio:si sente nell’aria,si avverte nei gesti,lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci nella stessa barca. Tutti fragili e disorientati,ma nello stesso tempo importanti e necessari,tutti chiamati a remare insieme,tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca … ci siamo tutti. Come quei discepoli,che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono:”Siamo perduti” (v.38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo,ma solo insieme …Con la tempesta è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri”ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli. “(Papa Francesco il 27 marzo u.s. nella meditazione prima della Benedizione urbi et orbi 2020)
1-Cosa pensiamo noi del “bisogno di comunità”?
Mi sento slegata da tutti - “Stiamo vivendo una situazione molto disagevole. Ognuno,in casa propria chiuso per forza, non è situazione gradevole,non corrisponde alla nostra natura umana … persino a Pasqua, divisi dai membri della nostra famiglia … Qualche giorno di solitudine fa anche bene,riposa e fa riflettere,ma mesi stanca, ci fa tristi … Io per es. non mi sento di continuare così: senza parlare con gli amici,senza andare, per es. al Camposanto con qualcuno che mi porti in macchina ….Mi sento tagliata fuori da tutto,slegata da tutti … Neppure una stretta di mano,un abbraccio … Abbiamo bisogno degli altri,anche perché lo vuole Dio. “( L. G. - prov. di Pavia)
“Vedo emergere da questa crisi un nuovo senso di comunità. Stiamo scoprendo che,per battere il virus servono coordinamento e cooperazione globale. Ci accorgiamo di aver bisogno gli uni degli altri come non mai era accaduto prima,persone e nazioni … la realtà è già cambiata … Stiamo chiusi in casa,è vero,siamo più isolati,ma anche più dipendenti. Viviamo un imperativo paradossale:ci mostriamo solidarietà non avvicinandoci agli altri … Questo rispetto presuppone un cambiamento in atto che sopravvivrà alla crisi”.( dall’intervista al sociologo sloveno Slavoi Zizek - Repubblica 7/4/2020)
Stare in casa non è sempre salvezza- “Per star sani bisogna star soli” : questo mi sembra lo slogan di quanti insistono nel far stare in casa la gente: soprattutto gli anziani. Come se la casa fosse la medicina e la salvezza..come se nella casa non scoppiasse maggiormente l’ansia e la paura,..e persino la violenza. Come se non peggiorassero tutte le altre malattie .Soprattutto se la casa è stretta e senza balconi … E se il medico non mi viene in casa,perché è troppo occupato.. E se solo si possa contare sulla volontà di bene di persone della Caritas, o di altro volontariato... ”( M. B. - prov. di Milano)
“Molti stanno sperimentando che vivere rinchiusi in casa non è semplice:può smascherare la nostra aggressività,far emergere le nostre paure, insofferenze, spigolosità,l’incapacità di far spazio all’altro. Vi è però anche una possibilità diversa: che si scopra un’altra dimensione dell’uomo,che non è solo homo faber, ma anche homo ludens,che gioca, canta, crea, dipinge suona,scrive,racconta. Anzi,ancor meglio,può diventare homo religiosus, cioè uomo o donna dei buoni legami (da re-ligare), che sa ascoltare, parlare, dialogare, pensare, pregare, lodare, invocare,consolare,amare,sperare.( dall’intervista al Vescovo F. G. Brambilla di Novara – Avvenire 8/4/2020)
Resistere e fare la propria parte- “Questo virus ha scombinato il nostro modo di vivere . Ovvio,tutti soffriamo di non poter stare all’aria aperta,assieme alle persone che amiamo,ma,al giorno d’oggi, ci sono molti mezzi per stare vicini anche se siamo lontani: per es. le videochiamate per conversare o le chat. E’ anche vero che molte persone sono sole e non hanno questa possibilità,come gli anziani,che ,in questa situazione soffrono su più fronti …. Io vorrei che le televisioni dicessero parole di conforto ,per far sì che queste persone si sentissero meno sole. Per quanto riguarda i giovani,dovremmo imparare ad aiutare gli altri,anche a distanza,perché ogni mezzo di comunicazione può essere trasformato in comunicazione di forza e coraggio per tuttiIo in genere ,sono molto positiva e non mi lascio mai sopraffare dalla paura, ma capisco che ci sono persone che hanno giustamente paura, e, pensando al proprio lavoro perduto o alla frustrazione di non poter essere d’aiuto,si sentono inutili oltre che impotenti. Un po’ tutti oggi ci sentiamo così,perché,quando l’essere umano ha delle costrizioni alla propria libertà,e, vuole cambiare il mondo,come nell’adolescenza,ci si sente in trappola, (soprattutto quando chi ci dovrebbe aiutare ci volta le spalle),ma dobbiamo resistere e dimostrare che ,anche nella propria fragilità,si può trovare la forza per migliorare la propria vita e quella degli altri e fare quindi la propria parte per cambiare questo mondo.” ( C.M. prov. di Pavia )
“L ‘uomo moderno è abituato a credersi onnipotente e immortale. Armato di un semplice telefonino pensa di poter dominare il mondo. Scatta,posta ,compra beni, attiva servizi, si connette, è qui e ovunque nello stesso momento, commenta su tutto, ha ricette per ogni problema, non sa di non sapere,in un delirio di presenza e di attività che lo fa ritenere onnipresente,onnisciente e immortale … Il coronavirus è il muro contro cui il culto dell’ego dell’uomo moderno si va a schiantare. Ci fa capire che ognuno di noi,preso singolarmente,può soccombere di fronte a un nemico tanto piccolo da essere invisibile. Ci fa capire che ognuno deve prendersi le proprie responsabilità e accettare dei limiti nel nome del “noi”,parola piuttosto desueta e sconosciuta ai più,ma che grazie al pericolo del contagio siamo costretti a far tornare di moda. L’epidemia è uno di quei casi dove l’interesse del singolo,anche il più egoista dei singoli,se vuole proteggere se stesso e la propria cerchia di affetti,è costretto a comportarsi in maniera sociale. Prendersi le proprie responsabilità significa per esempio capire che ci sono dei limiti alla propria libertà per proteggere gli altri dal contagio, ,che talvolta è necessario fermarsi,che non possiamo controllare tutto. E soprattutto che l’unione fa la forza.” (dall’articolo della giornalista C. Soffici - La stampa 25/2/2020)
Stare insieme senza attendere un tornaconto- “In questi due mesi trascorsi in isolamento abbiamo potuto constatare quanto sia importante, sempre, la presenza degli altri, abbiamo sentito il bisogno di comunità in famiglia, nel lavoro, nelle comunità parrocchiali, nei progetti di solidarietà …
Per carattere e per educazione ho sentito sempre molto forte il bisogno di comunità. Penso alla famiglia in cui sono cresciuta e alla mia che ho visto crescere, al desiderio di stare uniti e ho in mente soprattutto i momenti di convivialità, intorno al tavolo, dove le diversità ci disturbano meno, si parla, si ride, si condividono esperienze e qualche volta, prima di lasciarci, si canta o si legge un pensiero da cui qualcuno è stato particolarmente colpito.
Penso alla comunità parrocchiale di cui faccio parte; in questo momento non ci incontriamo per la Messa, mi manca molto l'incontro con le persone, da cui ricevo ogni volta uno slancio nuovo per il cammino umano e cristiano, persone che hanno dato segnali forti di condivisione in queste settimane: portando viveri e medicinali alle famiglie bisognose, aiutando chi deve fare domande on line per ricevere dal Comune i buoni spesa, seguendo qualche ragazzo che ha difficoltà a partecipare alla didattica a distanza, tenendo compagnia a chi è solo, con una telefonata.......
Penso alle vacanze estive trascorse lungo gli anni insieme a molte altre famiglie con i nostri ragazzi felici di stare in compagnia e di fare passeggiate in montagna, mentre noi genitori ci confrontavamo sulle nostre relazioni per renderle sempre più positive e creative. Quanti frutti da queste vacanze e dai vari convegni a cui partecipammo!.......frutti ancora oggi visibili.
Penso ai progetti di solidarietà nati all'interno della città dove vivo e che in questo momento “tengono insieme” chi può aiutare e chi deve essere aiutato: associazioni di volontariato impegnate nell'accoglienza e nella formazione umana, cooperative di solidarietà impegnate nel socio-assistenziale, gruppi che hanno cercato di dare spazio all'impegno politico in liste civiche, presenze negli organismi sia civili che religiosi, stimolo all'apertura comunitaria in questi momenti di chiusura.
Lo stare insieme con spirito comunitario (dare senza attendere un tornaconto, perché è proprio dando che si riceve) è fondamentale per costruire una società diversa .In effetti la parola comunità deriva dal latino “cum- munus” e “munus” significa: dono-dovere”.(A. M. F .- prov. di Cuneo)
“ E' banale forse dire come in questi giorni di isolamento per il covid 19, ci sia bisogno di comunità. Comunità che deriva dal latino comunitas, comune, ambiente condiviso. Credo sia nella natura umana il bisogno di avere un'appartenenza in comune,sin dai tempi preistorici gli uomini appartenevano a clan, tribù. In questi tempi di sviluppo tecnologico la nostra società è sempre più vasta e incontrollabile, si partecipa attraverso il web, si formano gruppi, si fanno amicizie alle quali se uno si stanca basta un click e si cancellano. Alla fine le persone che vi partecipano si sentono estranee e sole. Ecco che nelle piccole realtà quotidiane si cerca aggregazione e voglia di stare insieme non virtualmente. Questo è successo nel mio condominio : un palazzo di Roma semi centrale, con un bel cortile-giardino e sette scale, mio marito che è il portiere ed io, abbiamo cercato il senso di appartenenza del palazzo, ricercandone la storia della sua costruzione,dei suoi vecchi abitanti (il palazzo era dei ferrovieri ed è nato nel 1915). I condomini ci hanno seguito , è nata una biblioteca condominiale e si sono stretti legami forti fatti di tradizioni comuni e di appartenenza ad un luogo storico ormai. Per me questo è comunità”. (L.G. Roma)
2-Siamo convinti che non ci si salva da soli,né come individui,né come famiglie,né come nazioni?
Una comunità si costruisce nel tempo- “La pandemia globale da Covid 19 ci costringe a riflettere sul significato del distanziamento sociale come misura per evitare il contagio. E dire che abbiamo fatto tanto per essere più socievoli,più comunitari,più attenti gli uni agli altri …. E infatti l’essere comunità è un impegno tutt’altro che spontaneo. Ci vogliono volontà e cultura e ideali e valori,che messi insieme in modo armonico fanno comunità ora un virus ci costringe a stare lontani gli uni dagli altri,pena la morte … Ne abbiamo viste di bare in queste settimane, ma anche segni di vita,di altruismo, di solidarietà …Nella comunità di cittadini dove vivo (intendo un grosso condominio piuttosto antico in zona Trastevere),l’organizzazione spontanea per non far sentire nessuno solo,è stata capillare: dal carrello solidale davanti ai supermercati,in aiuto ai più deboli,all’impegno di alcune farmacie che hanno aderito all’iniziativa del farmaco sospeso. Un gruppetto di signore del mio palazzo ha aperto una sottoscrizione per aiutare il fiorista indiano che ha dovuto chiudere il suo chiosco, ma che, proprio nei giorni del lockdown (negozi tutti chiusi e niente soldi se non si vende niente) è diventato padre. Il giorno di Pasqua poi,la mia vicina mi ha proposto uno scambio di cibo sul pianerottolo. Per stare alle regole,a distanza ,ma vicini col cuore. Non sono poi mancati tanti inni patriottici gridati dai balconi nei giorni del 25 aprile e del 1° maggio: iniziativa poi trasmessa dal telegiornale regionale della Rai.
Immagino che qualcuno,leggendo,penserà che sia la descrizione del paese dei balocchi. No,vorrei dire subito: questo tessuto sociale,così attivo e solidale, si è costruito nel tempo. Appartiene alla storia di questo Palazzo,conosciuto come Palazzo dei ferrovieri di Roma. Nell’ultima guerra ha subito terribili bombardamenti che ne hanno distrutto,irrimediabilmente,un’ala. E’ cominciata così la costruzione dell’identità di questa comunità solidale. D’allora,con cura ,si è ritessuta una vita comune, senza dimenticare le macerie e con un’attenzione ai più deboli e senza escludere nessuno.”( R. S. - Roma)
“La tesi del bellissimo libro che vi presento è che non si possa vivere reclusi nei confini del nostro io,della nostra soggettività,delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, ma solo intrecciando la nostra vita a quella degli altri, in un continua relazione dialogica con un tu,e con un noi … La terza parte del libro si confronta proprio con il noi,con l’io e il tu che confluiscono nel noi, estendendo il noi ai vari gruppi e comunità,e giungendo a tematizzare quella che è chiamata una convivenza civile. L’io si svuota senza il tu,il tu si inaridisce senza il noi, e la vita,se non si apre al noi, non può non rinchiudersi in se stessa, come in un castello kafkiano, non rendendo più possibili quelle che sono fragili emozioni come la gentilezza e la tenerezza,l’entusiasmo e la passione politica …
Non si può non dire che dai territori della psiche il cammino dell’io e del tu porta a quelli della politica,se la politica è intesa nel senso alto della parola: come un noi che sia una comunità aperta al mondo umano e sociale con i suoi infiniti problemi anche ambientali. Non siamo,non dovremmo mai essere,monadi dalle porte chiuse nel nostro io, e nel nostro tu, e invece monadi dalle porte aperte a un noi che non sia solo psichico.” (Lo psichiatra E. Borgna nella presentazione del libro dello psicanalista V. Lingiardi “Io,tu,noi. Vivere con se stessi,l’altro,gli altri”- Il corriere della sera-14/4/2020)
Se il coronavirus ci apre alla corresponsabilità- “ Sono uno studente di Scienze politiche di 20 anni e mi domando: dobbiamo ringraziare il coronavirus per averci fatto scoprire il senso di comunità che ci unisce come uomini prima ancora che come italiani,spagnoli,cinesi,africani o francesi?...
Dopo aver cantato sui balconi,dopo aver esposto le nostre bandiere e i nostri slogan alle finestre,dopo aver applaudito i tanti eroi del nostro servizio sanitario e degli altri servizi essenziali, dopo aver visto la morte falciare tante vite ,.. possiamo tornare a dividerci tra uomini del nord e uomini del sud d’Italia o del mondo? Possiamo dirci liberi e dividerci tra “ noi” e “loro”?” (C.T. Torino)–“
“Si è liberi con gli altri e per gli altri. Non saremo liberi finché un solo uomo sulla Terra sarà ancora sfruttato,umiliato,oppresso. La libertà comporta l’impegno a liberare chi ancora libero non è. Allora questo “25 aprile” celebrato in una contingenza difficile e drammatica come quella della pandemia,deve essere un’occasione per rileggere la libertà alla luce della responsabilità …
Per uscire davvero da questa crisi sanitaria non basta trovare un vaccino contro il virus: bisogna trovarne uno contro anche contro gli egoismi. Altrimenti,se saremo colpiti da un altro virus,da un’altra crisi di questa portata,la logica dell’intervento sarà inevitabilmente quella della mors tua vita mea, della sopravvivenza garantita solo ai ricchi,ai potenti,ai corrotti, ai mafiosi. E negata ai deboli,ai poveri,agli immigrati,agli anziani non “produttivi”. Già abbiamo visto qualche agghiacciante avvisaglia di questa selezione disumana … Dobbiamo avere il coraggio di lasciare la strada distruttiva e suicida dell’individualismo per riconoscere la nostra comune appartenenza all’”umano”, a partire dai suoi bisogni fondamentali:casa,lavoro vero,istruzione,cura del corpo e dell’anima. E’ questa la premessa per liberarci dalle mafie e dalla corruzione,dalla produzione e dal commercio di armi,da un’informazione asservita a poteri forti- industriali e non solo-che tace o deforma la realtà. Più in generale,per liberarci da un sistema economico che arricchisce pochi a spese di tutti gli altri,alimentando la povertà,la disoccupazione,la disperazione. …
Un paese non è un’azienda. Un paese è una comunità di vite,di speranze,di culture che diventa tanto più grande quanto più accoglie,si relaziona agli altri pesi,stabilisce rapporti,abbatte muri e diffidenze. Si parla tanto in questi giorni della solidarietà come di un principio fondante dell’Europa unita. E’ così, ma i Padri della Comunità Europea- come i partigiani della Resistenza- sognavano un mondo dove la libertà della persona fosse il valore fondamentale,valore inestimabile,non valutabile con i parametri del “mercato”.Un mondo dove l’economia fosse servizio al Bene Comune e non,come si è ridotta,strumento di ricatto e di potere.( dall’articolo di don Luigi Ciotti - Avvenire del 26 aprile 2020)
Se non felice decrescita sarà- “Quando, nel 2009 la lista “Alba città per vivere”, di cui faccio parte, ha inserito nel programma la “decrescita felice” lo ha fatto perché eravamo convinti che una economia fondata sullo sviluppo illimitato avrebbe causato dei disastri. L'aggressione del coronavirus lo dimostra almeno per due aspetti:a) l'ambiente si difende dalle continue aggressioni dell'uomo; b) e risorse distratte ai bisogni fondamentali (sanità, istruzione, cultura, povertà sociale) per essere destinate all'effimero, ci rendono vulnerabili nell'affrontare le emergenze. Ed ecco ora il coronavirus presentarsi in modo più o meno simultaneo in tutto il mondo, per dirci che l'infelicità potrebbe essere globale e se la vogliamo affrontare dobbiamo farlo tutti insieme.
In questi giorni abbiamo sentito interventi bellissimi, profondi, di scienziati, intellettuali, capi religiosi. Tutti richiamano a questa unità di intenti. I politici sono presi dall'emergenza e si limitano agli auspici, mentre i finanzieri, in qualche stanza oscura, staranno studiando come muovere i capitali per guadagnare ancor di più a spese dei piccoli risparmiatori e dei Debiti Pubblici. Per farcela, dovremo ricominciare con la voglia di cambiare in profondità, mettendo in discussione questo sistema economico imperniato sulla crescita del PIL. Bisognerà cambiare il modo di calcolare il PIL, basandolo sulla solidarietà, sul risparmio sudato, sul lavoro agricolo, produttivo, artigianale, commerciale, cancellando la rendita finanziaria.
Ma com'è possibile un cambiamento del genere? Non so dirlo, ma sono certo che bisogna volerlo senza timori riverenziali, magari prevedendo, per legge, che le necessità primarie, (fame, casa, salute, istruzione) siano garantite a ogni persona e chi ha di più deve contribuire per chi ha meno. Oggi la tassazione non lo garantisce. Sento già l'obiezione: faremo crescere generazioni di fannulloni! Non accadrà se chi ha responsabilità saprà dare il buon esempio, dimostrando che si può essere felici senza essere ricchi e si va più d'accordo se non si posseggono troppe proprietà. Se non sapremo farlo la decrescita infelice continuerà la sua strada. “(F. F .- prov. di Cuneo)
Co - educarci a legami fraterni con popoli diversi- “La pandemia del coronavirus,con tutto il suo carico di sofferenza,morte e paura,offre a noi umani la grande opportunità di ravvederci e di dare una svolta alla nostra vita,personale e collettiva. Ce ne stiamo rendendo conto in molti,dappertutto,ma corriamo il rischio di aspettarci questa svolta prevalentemente dagli altri,in particolare dagli attori della politica,dell’economia,della scienza. Si è radicata infatti la convinzione che le sorti del pianeta siano in mano unicamente ai grandi protagonisti della scena politica e,ancor più, dei potentati economico-finanziari concentrati in poche mani. Dimentichiamo la complicità diffusa di tutti coloro che,specie in Occidente,puntellano il sistema con il loro consumismo esasperato,con la fuga dall’impegnativo dovere dell’azione riflessiva, con la comoda delega ad altri delle proprie responsabilità,divenendo in tal modo complici di una incombente e diffusa deriva neo –autoritaria ….
Questo ravvedimento però tarda a farci rinsavire. Ne è la prova la scarsissima attenzione che,nel nostro Paese,rivolgiamo a coloro che,più duramente pagano il prezzo della diffusione del coronavirus,come i migranti, i rom,i ragazzi che non possono accedere alla scuola a distanza. Ancora più drammatica la disattenzione nei confronti dei popoli del sud del mondo,pesantemente già coinvolti nella pandemia,senza poter disporre di strutture sanitarie degne di questo nome,in contesti di miseria,di conflitti armati e di disastro ecologico ….
Ci è richiesto di vivere questo tempo di spaventosa pandemia con lo spirito della clausura,esercitandoci nell’arte difficile del ritrovare noi stessi, ritrovare ,noi tutti ammalati del virus occidentale dell’attivismo,la perla nascosta dell’ascolto e del servizio … C’è da sperare. Ma non dimentichiamo che questa speranza è fondata sull’impegno di tutti noi,bambini,ragazzi,adulti,anziani,donne ed uomini, a co -educarci alla responsabilità e a legami fraterni,tra popoli e culture diversi. (G. S.- prov.di Taranto)
Non troppo preoccupati dell’oggi-
“Che l’uomo non sia “onnipotente”,lo sappiamo tutti,ma in astratto. E’ il concreto confronto con la realtà (quando avviene) che ci mette in crisi. Nella buona fortuna assomigliamo all’uccello che nasconde la testa sotto la sabbia,facendo finta che “ non vedere” significhi sopprimere la verità delle cose.Il mondo ormai da troppo tempo ha seguito la strada del “seppellimento” dei problemi: da quello della qualità dell’aria al riconoscimento della limitatezza delle risorse alla permanente ingiustizia nei rapporti tra i popoli. Così,ogni tanto,la “natura” si vendica e ci pone di fronte alle nostre responsabilità. Certo, “passerà la nottata” –anche questa dura stagione del “coronavirus”-ma riemergerà la saggezza,nella gente comune preoccupata solo dell’oggi e in una classe dirigente irresponsabile di fronte al futuro? Occorre riconoscere che,in molti casi,quella che vorrebbe “dirigere” è in realtà una classe “etero diretta” dallo strano connubio che si è determinato tra i “poteri forti”,che hanno “tutto”,ed i “poteri deboli” e cioè i comuni cittadini che-almeno in Occidente- hanno tanto ma vorrebbero avere di più,sempre di più. E’ stupefacente constatare che uomini e donne che conoscono un tenore di vita di gran lunga superiore a quello dei baroni medievali e degli uomini rinascimentali,non sappiano fare altro che lamentarci delle proprie vere (o presunte)povertà. Certo,i poveri ci sono ancora,ma sono tutt’altra razza da coloro che si sentono poveri e invece sono semplicemente dei “ricchi” che non sanno di esserlo.
A quando una salutare revisione degli stili di vita? Qui,forse,non si tratta di “invocare” la tanto diffamata politica,quanto di fare appello ad un sano realismo,ad una lucida capacità di abbandonare il miope sguardo di chi guarda solo al presente.”(G. C. – Parma)
“Quando si riflette sulla risposta politica non si deve dimenticare che ci misura con forti cambiamenti antropologici e non con contingenze. Si può far muro alla breve: è la politica dei castori che fanno la diga per fermare la corrente- dice Raphael Glucksmann. Ma il vero lavoro è del lungo periodo. Su questo ci interroghiamo poco,ma è decisivo per invertire la rotta.
Il primo aspetto è la cultura … E’ avvenuta una deculturazione di massa (che investe pure millenarie religioni,creando i fondamentalismi). L’Italia è in fondo alla classifica europea dei laureati,solo dopo la Romania. Bisogna investire nella cultura per arginare lo spaesamento dei cittadini in un mondo complesso. Ma c’è un aspetto ancor più decisivo: solo la ricostruzione di reti aggregazioni,che affrontino la solitudine, potrà ridurre le paure e portare a una coscienza più positiva dell’altro.
….Bisogna contornare le istituzioni democratiche con società,città,periferie,ambienti popolati da reti. Per questo ci vuole una rinascita di passione civile che spinga molti a mischiarsi alla società ,creando e rinnovando corpi sociali,con un investimento generoso e di lungo periodo. Bauman, alla fine della vita,era convinto che bisognava ripopolare la società globale con reti comunitarie. Tematiche simili sono riecheggiate nel messaggio del Presidente Mattarella a fine anno sul quel passaggio : “sentirsi comunità” e “pensarsi dentro un futuro comune”. (dall’articolo di A. Riccardi - Corriere della sera 1/2/ 2019)
Dora –Chiudo con un po’ di soddisfazione questa conversazione che è divenuta addirittura uno studio collettivo con voci diverse e ben armonizzate. Occorre leggere e rileggere questo testo,per ben riflettere. Con la speranza di migliorare anche il nostro modo di pensare e di vivere.
Senza ossessioni però. Che non ci sfugga il messaggio che la natura ci rilancia -anche da un geranio sul davanzale della nostra finestra…
Dialogo aperto
R.C. - prov. di Padova – “ Cara Dora,ho ritrovato il tuo nuovo indirizzo elettronico e scoperto l’ennesimo tuo impegno di educazione permanente su Internet … La tua tenacia è incredibile … Certo saprai della discussione che è in auge nelle scuole e nelle Università da quando il trauma del distanziamento ha reso necessario l’insegnamento a distanza. Tu condividi l’idea della necessità di una totale “trasformazione digitale della formazione e dell’apprendimento?”
Dora – Grazie,carissimo amico, per la stima che mi conservi. In poche righe però non potrò motivare in abbondanza la mia opinione sull’insegnamento a distanza,ma non mi esimerò dal risponderti. Io sono convinta - anche se attualmente non posso se non impegnarmi in un sito/blog di autoeducazione e di educazione permanente, partecipato a distanza – che “ il sapere”, e tanto meno “l’educazione”, non si trasmettono a distanza, “come un pacco da recapitare via web”,perché il pensiero non può ridursi a “pillole”, ma si accende e si costruisce soltanto nella “relazione”,nell’incontro diretto tra persone.
Lo strumento tecnologico nella scuola però è molto utile- anche se evidenzia maggiormente la differenza tra ricchi e poveri,non solo se sono in grado di possedere un computer o un tablet ,ma se son ragazzi che hanno la loro cameretta oppure ragazzi che devono cercare di studiare in una cucina chiassosa e affollata- come lo è stato e lo è la lavagna. Dipende da chi lo usa e da come lo usa, e comunque non riesce mai a risvegliare un perché. Devo fermarmi. Non prima però di assicurarti che condivido la proposta di tanti insegnanti che credono alla propria vocazione:urgono una riflessione globale e aggiornata sulla loro formazione professionale e un riconoscimento pubblico adeguato al loro ruolo sociale.
R. S. – Roma - “ Cara Dora, ho letto i testi della conversazione sulla vecchiaia e mi sono ritrovata a ricordare i lunghi percorsi di impegno educativo e associativo in Famiglia Aperta che ho vissuto con molti degli amici che qui scrivono della loro vecchiaia. La mia vecchiaia,così com’è oggi,la devo anche a loro,alla loro umanità,alla loro amicizia,all’impegno paziente nell’attendere la mia crescita umana. A tutti dico GRAZIE!
A G.S. di Martina Franca,voglio dire,che è vero che,in tempi di coronavirus,ci manca la Messa partecipata di persona,ma io ho scoperto un dono prezioso. Alle 7 del mattino sul 1° canale della TV vedo papa Francesco che celebra la S. Messa in S. Marta, e vivo la dolcezza della sua parola rinfrancante e della Comunione spirituale!
E’ questo il tempo di godere dei frutti di ciò che abbiamo seminato!”
Dora - “ Cara Rosanna, la tua apertura alla comunità è anche una tua conquista personale,perché ogni apertura –come ogni dono- suscita reciprocità. Bella e rara la tua testimonianza sulla “comunità condominiale che avete costruito nel tempo. La completo con la foto originale che hai scattato dalla tua finestra.
P. S. - Genova - “ Cara Dora. Spero di uscire viva e sana da questa spaventosa pandemia. Spesso l’angoscia mi assale con la paura di non riuscire più a tollerare la mia solitudine che si nutriva di relazioni,più a livello ecclesiale che professionale …
Attualmente il coronavirus mi ha bloccata da mesi in provincia di Pavia,dove sono venuta a trovare i miei vecchi zii che non vedevo da tanto. Sono in pensione ,con più tempo libero dal settembre u. s .- La zona nella quale mi trovo mi pare più attenta all’organizzazione liturgica piuttosto che alle relazioni pastorali,e questo tempo di distanziamento sociale non fa che aggravare la situazione. Dimmi Dora, tu che mi conosci da tanti anni:la mia è una crisi di fede o d’isolamento?”
Dora- “Tutto passa, carissima, e anche il coronavirus ci mollerà. E tu potrai tornare a Genova. Quanto alle tue osservazioni e turbamenti … lo sai,non sono né un medico né uno psicologo ,ma ti dico quello che penso con cuore sincero. A confronto con l’ambiente ,anche ecclesiale di Genova,l’ambiente locale in realtà non brilla per accoglienza comunitaria, ma credo che queste sensazioni che provi siano ingigantite dall’isolamento- La tua crisi di sconforto penso nasca più dal distacco dal tuo lavoro e dal cambiamento delle tue abitudini e luoghi di vita che da una crisi di fede.
Finché dura il tempo di questa clausura,continua a curare le tue amicizie in modo digitale e metti in fuga le tue melanconia ascoltando un po’ di musica. Soprattutto cerca di far fiorire i balconi e le finestre dei tuoi zii coltivando qualche fiore e lodando ,contemplandoli, l’amore di Dio che ci rinnova ancora la gioia della primavera.