STOP parliamone - Il blog di Dora Ciotta


n.36-Elogio della lentezza[altre sezioni]

n.36- Elogio della lentezza

dalla rubrica Noi cittadini   di  Isabella Bossi Fedigrotti, col titolo:”L’appello alla lentezza in una città veloce per DNA”-Corriere della sera, 29 ottobre 2017

 

 “Riusciremo a rallentare i ritmi della nostra metropoli -come auspica il sindaco Beppe Sala -e non soltanto in vista del miglioramento dell’aria che respiriamo?io lo spero molto”,scrive in una concisa mail il lettore Pietro Zambotti . Colpisce che,a proposito dell’auspicata lentezza,proprio mentre il primo cittadino annunciava i suoi desiderata,compariva in giro una grande pubblicità di Vodafone che proclama festosa:”Milano va più veloce”.E’ soltanto una pubblicità e,si sa,una pubblicità può dire – quasi - ciò che vuole,ma si sa anche che riesce,a volte,a cogliere la realtà con una certa precisione. E,comunque,spot o non spot,sembra difficile che si possa sul serio indurre Milano e i suoi abitanti a rallentare il passo,a ritrovare,come è stato invocato,dei ritmi un poco più umani,anche se,comprensibilmente,molti ne sarebbero felici.

Basti pensare,per esempio, a come,causa della rete,siamo diventati più impazienti,incapaci di aspettare. Finiti i tempi in cui si attendeva una lettera,anche per più di una settimana,senza per nulla agitarsi,se oggi una nostra mail non riceve velocemente risposta,subito diventiamo ansiosi,riscriviamo. E i pacchi?Giorni e giorni ci volevano per vederli arrivare,mentre ora Amazon consegna anche l’indomani dell’acquisto. Non solo. Abituati come siamo a trovare in Internet un’informazione in pochi minuti non avremmo più la pazienza (che avevamo)di cercare su pagine bianche o gialle oppure nell’enciclopedia o di chiamare un numero che magari lasciava a lungo in attesa(questo,a dire la verità,succede ancora,solo che coloro cui tocca poi scrivono infuriati ai giornali).Oppure -sappiamo come siamo fatti- fermi in macchina a un semaforo,se il mezzo davanti non riparte all’istante del verde,resistiamo a non dare,immediatamente,un colpetto,sia pure educato,di clacson?

Sembra difficile,dunque,che con questi stati d’animo indotti dalla tecnologia,ci sia,prima o poi,un’inversione di tendenza,che venga messo un freno alla perenne- e sì,molto stressante -corsa. In che modo può,del resto,una città con vocazione mercantile come la nostra,rallentare,quando si sa che per commerciare è quasi indispensabile arrivare primi,primi non soltanto a inventare ma primi anche a consegnare? Ben vengano ,insomma,tutte le biciclette del mondo per sfoltire il traffico,ben vengano le domeniche a piedi (altro motivo per cui i cittadini mandano messaggi furibondi ai giornali),ma la bella lentezza del passato è comunque per sempre perduta.”

 

Dora- Il tema della lentezza nel nostro quotidiano è sempre più presente nell’interesse generale, e  non solo per quanto riguarda i ritmi usuranti delle città,ma anche per il legame sempre più consapevole che si stabilisce col pianeta e tutti gli altri esseri viventi.

E’ un problema di sostenibilità umana,di recupero di benessere e di qualità della vita in generale,e non riguarda solo la “restituzione di tempo ai cittadini di Milano” e la “riumanizzazione della città di Milano”.Sono convinta che riguarda la vita di  tutti noi,giovani e anziani,di tutta Italia,e dunque  domandiamoci con calma:

1)Abbiamo notato che la necessità di rallentare riguarda anche il diverso territorio  che abitiamo?

2)Rallentare, per quali bisogni umani da recuperare?

Dando l’avvio alla nostra conversazione,voglio rifarmi subito al pensiero di un sociologo della conoscenza, Franco Cassano dell’Università di Bari, che,già nel 2001 col suo ”Modernizzare stanca –perdere tempo guadagnare tempo”,edito da Il mulino , illuminava il problema della sostenibilità umana della velocità, di riflessioni incisive su “ la sacertà della pausa e degli intervalli,il gusto della lentezza,il rispetto del limite. Non  sono residui premoderni -scriveva- ma elementi irrinunciabili di un’idea di ricchezza più matura,non schiacciata sull’unico indicatore del possesso di merci”.

 

Velocità nuovo despota dei tempi nostri

“C’è un nuovo despota nella nostra immagine del mondo,un dogma che non si mette mai in discussione,una potenza che non si osa mai sfidare:la velocità. Ormai tutti abbiamo interiorizzato la velocità,come se fossimo nati su di un treno in corsa e credessimo che non è il treno ad attraversare lo spazio,ma sono gli alberi,le case,il paesaggio,a correre attorno a noi. E’ difficile concepire la modernità senza questa sempre più irresistibile tendenza all’accelerazione:dai trasporti alle comunicazioni,la storia degli ultimi secoli è quella di una crescente riduzione dei tempi,della vittoria del tempo sullo spazio … Noi ci siamo abituati ormai a trasformare le distanze spaziali in periodi di tempo,i  chilometri in ore di percorso. Lo facevano anche gli antichi,parlando di giorni o mesi di viaggio,ma basta confrontare quella nozione ancora “naturale” con un moderno orario dei voli per capire che il tempo di cui parliamo è una nostra costruzione razionale,sottoposta continuamente a revisione e tesa a rendere sempre più piccolo il pianeta. La velocità d’altronde non è solo fuori di noi,ma abita anche nel nostro interno,nei desideri e nelle abitudini,nelle nostre impazienze,nella maglia sempre più fitta dei nostri impegni e delle nostre agende. Come gli esami anche gli incrementi di velocità non finiscono mai. La globalizzazione non è che un’intensificazione del dominio della velocità su tutte le sfere della nostra esistenza. Essa infatti in primo luogo la velocizzazione massima del movimento dei capitali liberi di spostarsi in tempo reale in ogni angolo del pianeta: a questa libertà di movimento finalmente non si frappone nessuno ostacolo etico,politico o tecnologico,ed essa può seguire senza distrazioni l’unica legge del massimo profitto … Ogni sguardo veramente autonomo sul nostro tempo deve riuscire ad evadere dall’etnocentrismo della velocità,che pensa il mondo come farebbe un tachimetro,e partire dall’inventario delle forme di esperienza che esso mette fuori legge e getta fuori dai finestrini. La velocità è come una riga retta,la distanza più breve tra due luoghi e due persone:ci spinge a considerare inutili  e noiose tutte le strade che conoscono la salita,le curve,la sosta,il mutare delle prospettive. Anche nei rapporti umani: il momento più importante,la sosta, il lento costruirsi di un’intimità,il gioco e l’elaborazione del desiderio vengono buttati via come un’inutile perdita di tempo. Tra un uomo e una donna la linea retta,quando non è stupro o rapporto mercenario,è un fast food dell’anima,poco più di una bibita gelata. La lentezza,con la sua fantasia e i suoi spazi per la meditazione e  l’elaborazione è un giudice lucido e durissimo dell’ingordigia della velocità “…(F. Cassano)

Dora- Tredici anni dopo,nel 2014,la stessa casa editrice di Bologna,Il Mulino,pubblicava un altro libro fondamentale sul problema della velocità,e di esso  ho preso  il titolo per la nostra conversazione:”Elogio della lentezza”.Lo ha scritto Lamberto Maffei,già direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e del Laboratorio di Neurologia della Scuola Normale Superiore di Pisa.E’ un libro che dà consistenza scientifica a tanti dubbi e disagi dell’era moderna,aprendo la strada alla scoperta che solo con ritmi normali il cervello torna a creare.

 

Siamo davvero programmati per la velocità?

Siamo davvero programmati per la velocità? Viviamo in un mondo veloce: continuamente connessi, chiamati a rispondere in tempi brevi a e-mail, tweet e sms, iper -sollecitati dalle immagini, in una frenesia visiva e cognitiva dai tratti patologici. Dimentichiamo così che il cervello è una macchina lenta e, nel tentativo di imitare le macchine veloci, andiamo incontro a frustrazioni e affanni … Queste pagine esplorano i meccanismi cerebrali che guidano le reazioni rapide dell'organismo umano, di origine sia genetica sia culturale, con un invito a scoprire i vantaggi di una civiltà dedita alla riflessività e al pensiero lento.

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"Camminando lentamente nel silenzio possiamo più facilmente pregare:” O Signore,fa che  vinciamo ogni paura che ci impedisce di deciderci per Te,per i fratelli,per ciò che ci costa,per ciò che ci  spaventa. Fa che la nostra preghiera sia una vittoria della nostra fede: in essa trionfi la tua potenza che ha vinto la paura della morte”.(Carlo Maria Martini “Incontro  al Signore Risorto”- vol. II- ed. San Paolo-)

 

La necessità di rallentare riguarda anche la nostra vita

Giorgio C. Parma-  Anche la città di Parma,come tutto il nord,è abitata dalla fretta e dalla frenesia:per fortuna in modo inferiore,ritengo,a quanto accade ad altre città forse più dinamiche,ma con il rischio di imporre ai loro abitanti comportamenti quasi nevrotici ….

La nostra antica tradizione umanistica,qui,per fortuna, si fa sentire e consiglia anche i “ritmi lenti” del “caffè in Piazza” o delle numerose serate musicali. Vi è da sperare che questa tendenza continui anche in questa post-modernità che sta assolutizzando il tempo e il “risparmio” di tempo: ma per che cosa e con quali esiti?

 

Michele  V.-  Genova –  Nella bellissima mia  città ,perfino nella città vecchia,la fretta è la cifra di vita quotidiana per tutti. Il lavoro,le distanze,le abitudini,le insoddisfazioni … In tanti  però aspettiamo la domenica per curarci dell’orto ( appena fuori città) e dei nostri pensieri … E’ la terapia del silenzio e della tranquillità. Mia moglie mi dice che sto invecchiando, e a me sembra invece di rinsavire … Certo,sono più contento quando insieme a lei vado a teatro oppure a qualche  riunione di  amici .

 

Franco F. - Alba- La velocità ,che è l'opposto della lentezza, non è la malattia ma il suo sintomo più evidente. La malattia è il sistema, che non  ci siamo dati, ma che lentamente, nei secoli, ci ha avvolto e con gli sviluppi scientifico e tecnologico si è imposto nella vita quotidiana con le sue regole, i suoi maestri, i criteri di valutazione, le promozioni o bocciature che pesano nel giudizio popolare più dei sentimenti relazionali e del valore culturale della persona.

 

Bello e veloce è il metro di giudizio di opere, oggetti, sentimenti. Vince il pragmatismo, il fare.

Il solo strumento che limita questo mondo del fare è il rinvio, però non è la soluzione giusta. L'umanità nel suo complesso avrebbe bisogno di lentezza. Ne ha bisogno la natura, per recuperare i suoi ritmi, ne hanno bisogno gli animali, spaventati e distrutti dalla velocità, ne ha bisogno più di ogni altro la persona umana che deve riuscire a dare risposta al senso della sua vita.

 

Ci sono persone che hanno fatto la scelta della lentezza, ma in generale hanno dovuto isolarsi. Sono modelli per un futuro che dovrà venire, ma, temo, portato da disastri ambientali e relazionali, dove la velocità è capace di fare danni prima ancora che ce ne rendiamo conto.

Credo sia giusto applicare alla lentezza le regole della nonviolenza cioè: sceglierla, viverla, proporla e sperare che abbia un effetto contagioso. Sui temi della violenza il contagio non ha cambiato granché, ma ha fatto crescere la consapevolezza di quanto sia necessario un mondo nonviolento. Potrebbe essere così anche per la lentezza, di cui c'è un estremo bisogno personale e collettivo.

 

Piera V. - prov. Pavia – Vivo in un piccolo paese,ma ho una vita molto frettolosa e travagliata. Vado ogni giorno a Milano per lavorare. In treno. E ho detto tutto …. Ma sogno di andare a vivere in campagna,in qualche azienda, con gli animali. All’aria aperta. Un giorno o l’altro lascerò tutto. Appena trovo un uomo che la pensi come me.

Gianfranco  e Maria S. - Martina Franca - Anche le città del sud, della stessa Puglia, sono preda della fretta, magari con ritmi meno frenetici di quelli di Milano. L’era della globalizzazione, dello smartphone e dei social ha spazzato via  ovunque i ritmi lenti del passato. Da noi, comunque, si fa più stridente rispetto al passato il divario tra le generazioni, lasciando gli anziani in una condizione desertificata dal punto di vista relazionale.

La differenza con le grandi città del nord sta anche nel fatto che, essendosi lì spinta molto avanti l’accelerazione dei ritmi, si cominciano a sentire i campanelli di allarme. Da noi il bisogno di correre di più è ancora vissuto come segno necessario di uno sviluppo da promuovere, senza badare granché alla sua qualità.

 Basta guardare all’offerta turistica sulle spiagge del nostro bel mare, per ritrovare riproposti e amplificati tutti gli ingredienti di una vita accelerata, chiassosa, iperconsumistica. Mentre poi ai migranti stagionali impegnati nel lavoro in agricoltura  tali ritmi vengono brutalmente imposti da un’organizzazione produttiva mafiosa e schiavizzante.

 

Bisogni umani da recuperare

 

Giorgio C.- Parma- Sono soprattutto due i bisogni umani da recuperare,questi “bisogni dell’anima” sui quali ha scritto pagine densissime la grande Simone Weil. Il primo è il bisogno del silenzio,del dialogo disteso,della contemplazione tranquilla e serena della natura;e ciò anche per poter essere,quando è necessario,più pronti e disponibili all’azione. Qui l’antica saggezza cristiana propone il costante “compagno” della lentezza,e cioè “la contemplazione”:che non è un astrarsi dalla storia,ma cercare-e se possibile trovare-i valori ultimi che fanno l’esistenza.

Il secondo “bisogno” da rivalutare è quello della gratuità; in un mondo in cui sembra che quasi più nessuno sia disposto a fare “niente per niente”.Senza un minimo di attitudine al disinteresse e al distacco-senza mai, nevroticamente, domandarsi ad ogni momento a che cosa serve?-non si ha una reale pienezza della persona:siamo nati nella gratuità e saremo (almeno così sperano i credenti)alla fine della vita accolti nella Gratuità. Allora,le talvolta frenetiche rincorse di cui è costellata la nostra vita ci parranno una sorta di “tempo perduto” e quello dei giorni ultimi apparirà come un “tempo ritrovato”,quello che tanto interessava a Marcel Proust.

 

Anna Maria F. - Alba- Ho trascorso molti anni di vita ricchi di impegni e di incombenze varie, forse troppo.......e solo da un po' di tempo vivo una condizione di rallentamento. Quando ci penso sono contenta. Capita che devo fare una lunga fila ad uno sportello o una attesa per una visita medica? Tempi addietro la cosa mi infastidiva molto, oggi provo un certo gusto: quello di non aver fretta, di poter pensare, osservare, guardarmi dentro, senza aver l'impressione di perdere tempo.

 Mi scopro, con un certo piacere, a vedere intorno a me cose che non avevo mai notato. Faccio pochissimo uso di strumenti tecnologici, prediligo la telefonata al messaggio sul cellulare, una lettera ad una mail e penso che sicuramente la tecnologia offra delle possibilità interessanti ed utili solo se è controllata dalla nostra testa.

 

Le persone che mi sembrano più provate dalla velocità della vita nella nostra società, sono i bambini: al parco noto genitori tutti concentrati sul telefonino anziché seguire i giochi dei figli, altri accompagnano i bimbi a scuola parlando al telefono o cliccano seduti a tavola con loro.

Non parliamo poi degli impegni extra scolastici per cui i bambini vengono scarrozzati frettolosamente dalla scuola alla danza, dalla partita di calcio alla lezione di teatro e se rimangono in casa, sono piazzati davanti alla televisione od al computer, perché i genitori hanno troppo da fare.

 

Sento un grande bisogno di lentezza per parlarsi, per stare insieme, per giocare con i bimbi..... ma la vita di oggi ci impedisce di “interrompere” e captare quali sono i veri bisogni che abbiamo  dentro.Per rispondere positivamente a questi bisogni ci vuole molta consapevolezza e forza interiore.

 

 

 

Rosanna S. – Roma – Più che dell’elogio vorrei dire delle conseguenze della lentezza,della mia lentezza. Ho sempre viaggiato molto:più andavo lontano più mi piaceva spingere oltre gli orizzonti dei miei viaggi,avendo compagni di avventura che con me esploravano il mondo con curiosità e cultura.

Ma gli anni passano,e ormai sono cambiata,non sono più efficiente,rimango indietro,a volte addirittura arranco dietro gli altri,come per es. mi è successo nel mio ultimo viaggio,quando,mentre la mia compagna di viaggio  è salita prontamente nella  vettura della Metropolitana,io sono rimasta in banchina. Oggi non ci si aspetta più …

Ho perfino nostalgia di quelle belle passeggiate a piedi parlando e guardandosi negli occhi in una comunicazione più umana,nella quale fluiscono lentamente pensieri e sentimenti. E che dire poi dei messaggini che vengono inviati a tutte le ore del giorno e della notte,e se la risposta non è immediata ti devi anche giustificare  del perché non l’hai fatto. Sto già elaborando uno stile di vita più adatto alla mia lentezza ,perché il vivere quotidiano non mi diventi ansia di prestazione

 

Nel maggio scorso ho assistito ad un incontro ,organizzato dal mio condominio di Trastevere,con un politico di lungo corso che è stato assessore alla mobilità e vicesindaco a Roma dal 1993 al 2001  e ha avviato il potenziamento del trasporto pubblico  con le ferrovie urbane. Nella sua conferenza ha disegnato una nuova immagine della città, all’insegna della green mobility,spiegando la possibilità di cambiare la mobilità e la vita dei cittadini passando dall’uso privato e proprietario della macchina a nuovi stili di condivisione  per mezzo delle tecnologie. E cioè mettendo in collegamento in tempo reale le persone che si muovono nella stessa direzione.Sembra che i giovani guardino  ormai con ironia all’ossessione dei genitori per lo status symbol delle 4 ruote.

In realtà io già vedo in funzione sul mio territorio carsharing,bikesharing,carpooling e mobilitymanager.

 

L’uso dei termini già manifesta  non solo un cambio di costume e di stile di vita, impostato sul concetto di  condivisione di un mezzo di trasporto,ma una nuova concezione del tempo,dei rapporti umani e del rispetto ambientale. Vivremo con minore affanno e più salutare lentezza?Lo sapremo a sperimentazione avvenuta.

 

Gianfranco  e Maria S. - Martina Franca - L’obiettivo di rallentare i ritmi del vivere  è strettamente legato alla necessità di ritessere legami comunitari in contesti urbani sempre più frammentati e svuotati di senso.

 Le stesse azioni solidaristiche portate avanti da gruppi di volontariato e da cooperative sociali, allorché non sono accompagnate da riflessività e discernimento, scadono nell’attivismo.

 

Quella che è messa a rischio, infatti, è la qualità della relazione, mentre le persone in difficoltà esprimono un bisogno di ascolto, prima ancora che di cure materiali. Il nostro agire, quindi, ha bisogno di essere illuminato da una vita quotidiana in cui ci sia spazio per tempi di silenzio, di rilassamento, di meditazione. Quello che era uno stile di vita proprio dei monaci oggi va coraggiosamente praticato e annunciato da tanti “monaci di strada” come vitale per una vita sociale umanizzata.

 

Sempre più ci rendiamo conto che c’è bisogno urgente di profezia, come condizione necessaria per “riumanizzare la città”. Il rallentamento dei ritmi del vivere sociale ha bisogno certamente di scelte amministrative più sagge, ma perché esse trovino una base convinta di consenso è necessario che crescano esperienze di cittadinanza attiva e solidale che ci aiutino tutti a rallentare il passo ed a tornare a guardarci negli occhi.

 

“Buon giorno” ,disse il piccolo principe.  ”Buon giorno”,disse il mercante. Era un mercante di pillole preconfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una la settimana e non si sentiva più il bisogno di bere. “Perché vendi questa roba?”,disse il piccolo principe.”E’ una grossa economia di tempo”,disse il mercante.”Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano 53  minuti alla settimana”.E che cosa se ne fa di questi 53  minuti?”.”Se ne fa quel che si vuole …” –“Io”-disse il piccolo principe-”se avessi 53  minuti da spendere,camminerei adagio adagio verso una fontana …”(Antoine de Exupery-Il piccolo Principe)

 

Dora-   Abbiamo cercato, insieme riflettendo e confrontandoci ,di comprendere che la lentezza,non è solo un segno normale di  invecchiamento ,ma può essere la scelta di riappropriazione del proprio tempo per una nuova consapevolezza di vita; non è pigrizia o disinteresse,ma attenzione e concentrazione per  fare scelte nuove di ben-essere e di ben-fare, a livello individuale,sociale,di città.Una puntata di riflessioni che ho apprezzato molto. Spero in altri  interventi di dibattito e di testimonianza  per il Dialogo aperto della prossima conversazione..

Voglio però concludere questa conversazione a distanza citando un piccolo libro che anche a me ha aperto tempo fa nuovi orizzonti  di luce per un  vero “cambio di rotta” , per liberarsi  dalla schiavitù della produttività e dall’ansia delle prestazioni.

 E’ uscito, in traduzione italiana dallo spagnolo, nel 2011, con l’ed.Dedalo, ed è stato scritto da Maria Novo,scrittrice e conferenziera. Docente UNESCO di Educazione ambientale e sviluppo sostenibile, presiede dal 2007 l’associazione spagnola Slow People e dirige il Progetto ECOARTE,per l’integrazione della scienza e dell’arte nel trattamento delle questioni ambientali.Lascio a lei stessa la parola dalla presentazione del suo libro:<<Vivere slow  apologia della lentezza >> ,per la conclusione della nostra conversazione.

“Per quale  motivo è fondamentale parlare di lentezza? Perché  in una società dominata dalla fretta ( di produrre,di consumare, e di spostarsi da un luogo all’altro),stiamo perdendo l’anima,che,al contrario,si muove lentamente. Gravi problemi ecologici,come il cambiamento climatico,rischiano di distruggere il nostro habitat naturale,mentre si diffondono autentiche forme di malessere sociale,come lo stress,risultato di uno stile di vita che non sembra più in grado di garantire la felicità.

Il nostro è un comportamento ragionevole? La situazione descritta può generare armonia? Nelle pagine di questo libro,oltre a illustrare il mio punto di vista sull’argomento,descriverò le esperienze concrete di individui singoli,gruppi,città,organizzazioni,che hanno cominciato a cambiare,scalando di marcia e riducendo la velocità.

Queste storie ci dimostrano che la ricerca della felicità è strettamente collegata alla gestione del nostro tempo,cioè alle strategie  adottate per impiegare i giorni e le ore,un tesoro prezioso ma impossibile da accumulare e quotidianamente dilapidato.

L’uomo è fatto di tempo. Come scrive Caballero Bonald,”siamo il tempo che ci resta”.”

 

 

DIALOGO APERTO

 

Lara – Pavia - Cara Dora, approfitto di questa finestra di dialogo del tuo sito per dirti che ne sto leggendo a poco a poco le varie puntate. Sono discorsi seri,che non si sentono qui molto in giro, e che persone anziane come te e voi tutti (se ho capito bene siete tutti già in pensione) andate facendo con mente e cuore  davvero aperti … Sono una ragazza pugliese che viene a Pavia per l’Università:per le lezioni più importanti e gli esami, ma poi vado via di corsa.

 Volevo ringraziarvi,perché vedo che nel vostro blog ognuno che legge, se vuole ,può dire la sua,ed è bello poter parlare liberamente con gli anziani. Parlare e ascoltare. Io sono infatti d’accordo con papa Francesco,che invita sempre i giovani ad ascoltare i nonni. Nella mia diocesi stiamo preparando il Sinodo dei giovani con entusiasmo … E’ bello costruire ponti tra generazioni diverse. S’impara sempre.

 

Dora- Carissima Lara,grazie a te perché  continui a cercarci per leggerci, e grazie per avermelo scritto. Si,è vero,anche noi vogliamo costruire ponti e non fossati e soprattutto amiamo ascoltare i giovani,non solo per comprenderli meglio e sostenerli,ma per arricchire di vita il nostro presente e dare ali di sogni anche al nostro futuro.

Ho letto di recente su Avvenire che don Davide Abbascià (incaricato della Pastorale giovanile in Puglia)ha proprio citato non solo le parole ma l’esempio di papa Francesco che “col suo sedersi in mezzo all’assemblea,è segno di un anziano che non si mette sul piedistallo a dare lezioni,ma che sta in silenzio e ascolta … giacché i nonni hanno molto da dirci ,con la loro lentezza,la loro capacità di discrezione e la consapevolezza di aver fatto spesso una vita di sacrifici,ma con gioia”.

E mi è piaciuto molto anche quello che ha detto Chiara Parodi,(incaricata laica della Pastorale giovanile della Liguria). L’anziano è colui che “sa lasciarti viaggiare con i sogni e allo stesso tempo sa riportarti con i piedi per terra con saggezza e dolcezza”.”Noi giovani –ha osservato- siamo ipercinetici,è come facessimo sempre una discesa veloce:ecco,i nonni sono la seggiovia che ci riporta in pista,ci permette di fermarci a guardare il panorama,ci insegna a riprenderci il tempo”.

 

Carissima Lara,come avrai letto in home page,che la prossima conversazione la faremo sull’Europa:perché non vi partecipi coi tuoi amici?

 

 

Umberto S. - prov. di Verona - Cara Dora,dure righe veloci per dirle il mio apprezzamento per il tipo di blog che sta realizzando e per segnalarle il libro di Beatrice Taboga  e l’esperienza  dei Seminari esperienziali a Venezia, da cui nasce:”Saper ascoltare. Profondamente vivi nella cura,nella malattia e davanti alla morte”- a cura di Roberto Mander - Sensibili alle foglie,2010

 

Dora- Grazie della segnalazione. Lo andrò a cercare. Di libri che aiutano a vedere la malattia e la morte,non  come una “sconfitta” o uno “scacco”,tanto meno come “un tempo vuoto”, in una società così stupidamente affannata e  così infelicemente  cinica, c’è proprio bisogno.

 

 

Vittorio P- Roma -Leggo nel vostro blog la conversazione n.35 sull’Arte di aver cura. Benissimo,manca però la sottolineatura di un grosso deficit di infermieri. Con più di 6 pazienti a carico,mi sa dire lei come si può fare ad avere tutta l’attenzione necessaria?

Aumentano i rischi di peggioramento non di miglioramento della salute. Non sono le risorse umane a mancare.42 Atenei formano ogni anno 12.000 professionisti. Il problema sono i conti pubblici e le politiche di risparmio. Aumentano però anche i servizi privati.

 

Dora- Grazie dell’intervento,realisticamente motivato. Anche gli insegnanti pongono problemi simili. Il nostro blog però non ha la pretesa di fare  proposte politiche,ma l’ambizione di non usare della realtà come alibi per non migliorare i propri comportamenti umani e per non lavorare per cambiarla.

Il nostro obiettivo infatti è l’autoeducazione permanente e quotidiana in casa e in ogni ambiente di vita. Siamo convinti infatti di quanto scrive Ralph Waldo Emerson:

 

Curati dei tuoi pensieri; diventeranno parole.


Curati delle tue parole; diventeranno azioni.


Curati delle tue azioni; diventeranno abitudini.


Curati delle tue abitudini; diventeranno il carattere.


Curati del tuo carattere; diventerà il tuo destino.

 

La raccomandazione  vale per tutte le età,soprattutto per i giovani.

 E per noi anziani vale forse l’ammonimento di Nikos Kazantzakis: “E’ cosa buona e giusta prendersi cura del corpo. E’ il cammello su cui monta l’anima per attraversare il deserto.” 

E certamente qui alludo alla realtà della vita di  molti anziani,nel deserto di relazioni umane al quale spesso li si condanna o ci si condanna,spesso solo valutando il vantaggio dei beni materiali  da spillare o da offrire .

Facendo ricerche sul tema ho scoperto che in tanti diversi contesti etnici la lumaca è simbolo di equilibrio. Perché la lumaca possiede il giusto,solamente il giusto. Ha lo spazio esatto in cui abitare,il suo esoscheletro: se deve crescere di due millimetri il suo esoscheletro cresce di due millimetri,non di più” (Louis Sepulveda)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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